Durante la mia carriera come operatore olistico in Ayurveda, è stato inevitabile, lavorando in un paese dalla cultura fortemente permeata di scienza occidentale, dover rispondere a persone che chiedevano rassicurazioni riguardo l’efficacia della scienza ayurvedica, o che, più semplicemente, avevano bisogno di un po’ di tempo prima di aprire la mente a un mondo, quello ayurvedico, che parte da assunti molto diversi da quelli che stanno alla base della medicina allopatica.
Per rispondere a tutti coloro che cercano delle risposte “rassicuranti” o si approcciano da poco all’Ayurveda, e dopo aver scritto del contributo che l’Ayurveda ha dato alla medicina moderna, voglio raccontare l’esperimento di alcuni scienziati, che circa 10 anni fa, sotto l’egida della Task Force on Ayurvedic Biology guidata dallo scienziato Valiathan, testarono i fondamenti dell’Ayurveda attraverso marcatori genetici e analisi nanotecnologiche; il loro obiettivo era quello di vedere se l’efficacia dell’antico sistema medico potesse essere spiegata scientificamente.
Secondo l’Ayurveda, l’individuazione e il trattamento della malattia dipende dalle forze dominanti nella costituzione di una persona, chiamate dosha prakriti; esse si compongono di tre elementi: Vata, Pitta e Kapha.
Lo scienziato indiano Kumarasamy Thangaraj, partendo dall’assunto che ogni malattia, e ogni caratteristica umana, ha una base genetica, iniziò a esaminare la classificazione prakriti dell’Ayurveda attraverso la lente di un genetista, considerando, per la prima volta, la base genetica dell’ayurveda; l’obiettivo del suo lavoro era quello di cercare marcatori in tutto il genoma, per vedere se ci fosse una differenza a livello di genotipo tra le prakriti.
Lo scienziato Thangaraj si è concentrato su questo studio per più di cinque anni, collaborando con scienziati di altri quattro istituti di ricerca e medici di due rinomate scuole di Ayurveda, tutti uniti nell’intento di rispondere alla domanda: “la prakriti può essere spiegata a livello genomico?”.
I risultati dello studio sono stati, poi, pubblicati sulla rivista Nature Scientific Reports, e mostrano che la risposta potrebbe benissimo essere sì.
L’esperimento prakriti
L’esperimento è stato condotto su individui che, secondo la saggezza e le tecniche ayurvediche convenzionali, presentavano un dosha dominante. Due gruppi di medici ayurvedici hanno testato 3.000 persone, che sono state esaminate anche attraverso l’utilizzo di Ayusoft, un software sviluppato dal Center for Development of Advanced Computing di Pune, il quale converte la prescrizione nei testi ayurvedici in strumenti analitici. Alla fine del test sono stati selezionati 262 individui, risultati avere il 60% o più di un dosha rispetto agli altri due.
Gli scienziati si sono, quindi, messi al lavoro per testare il DNA di questi 262 individui.
Thangaraj ha esaminato il DNA per polimorfismi a singolo nucleotide o SNP, che sono cambiamenti in singoli punti in una sequenza di DNA, i quali sono comuni in una popolazione, ma sono spesso marcatori genetici per malattie. Nel frattempo, altri scienziati, come Pataru Kondiah dell’Indian Institute of Science, ha studiato l’espressione genica e Kapaettu Satyamoorthy, della Manipal University, ha esaminato i marcatori epigenetici negli stessi campioni di DNA.
L’analisi ha prodotto due risultati molto significativi. Thangaraj ha identificato 52 marcatori genetici che sono stati trovati in un solo dosha, ma non negli altri. Con lo studio è riuscito a suddividere gli individui presi in esame in tre gruppi distinti tra i marcatori, uno per ogni dosha.
Spiegazione genetica per pitta
Il team ha inoltre trovato una forte espressione del gene PGM1, responsabile del metabolismo degli zuccheri nel corpo, in individui caratterizzati come pitta dosha.
Una delle grandi caratteristiche del Pitta dosha, infatti, è proprio l’alto metabolismo; Thangaraj ha osservato che la funzione di questo gene PGM1 e la caratteristica di pitta sono direttamente correlate.
Simile al gene pitta e PGM1, il team ha visto alcuni segnali tra la funzione del gene e alcuni tratti di kapha e vata dosha, ma che erano meno statisticamente significativi e richiederebbero ulteriori studi e approfondimenti.
In conclusione
L’Ayurveda è un sistema di pensiero nato nell’India vedica, oltre 5000 anni fa.
Ridurre l’Ayurveda alla definizione di “antica medicina indiana” sarebbe scorretto; essa è una vera e propria Scienza della Vita, che racchiude in sé l’insieme degli aspetti fisici, psichici e spirituali dell’uomo.
Sarò sempre disponibile a dare informazioni e chiarimenti a chi, con curiosità, vorrà avvicinarsi a questa scienza millenaria.
Namasté 🙏
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Alberto Orlandi