Negli ultimi tempi mi capita sempre più spesso di ricevere domande sull’Ashwagandha. La si vede in erboristeria, nei supermercati bio, nelle pubblicità di integratori: è diventata, a tutti gli effetti, una “pianta alla moda”.
Ma per chi lavora in Ayurveda da tempo, l’Ashwagandha non è una scoperta recente. È una pianta medicinale usata da millenni, con proprietà profonde, da trattare con rispetto e conoscenza.
Che cos’è l’Ashwagandha
Il nome botanico è Withania somnifera, ma in Ayurveda è conosciuta come Ashwagandha, termine che significa letteralmente “odore di cavallo”. Non per il profumo, ma per il suo legame simbolico con la forza, la vitalità e la resistenza che si attribuiscono a questo animale.
È una delle piante Rasayana, ovvero quei rimedi capaci di rigenerare, tonificare e rafforzare l’organismo, soprattutto nei periodi di stress, stanchezza o indebolimento.
Quando la uso nella mia pratica
Nella mia attività ayurvedica, consiglio l’Ashwagandha soprattutto nei momenti in cui vedo un chiaro eccesso di Vata: agitazione mentale, ansia, insonnia, affaticamento, perdita di massa o energia, disconnessione dal corpo.
Non è una pianta “rilassante” in senso farmacologico. Il suo effetto è più profondo: radica, rinforza, restituisce continuità, aiuta a costruire forza e struttura.
I benefici secondo l’Ayurveda (e non solo)
In Ayurveda, l’Ashwagandha è considerata:
- tonica per il sistema nervoso (soprattutto in caso di stress e affaticamento mentale)
- rigenerante per chi ha vissuto malattie lunghe o periodi di deplezione
- utile nel migliorare la qualità del sonno
- benefica in caso di cali energetici e debolezza fisica
Oggi anche la ricerca scientifica conferma molte di queste indicazioni: diversi studi hanno evidenziato i suoi effetti adattogeni, ovvero la capacità di aiutare l’organismo a rispondere meglio allo stress e a riequilibrare il sistema endocrino, in particolare il cortisolo.
Un rimedio antico… ma non per tutti
La popolarità dell’Ashwagandha ha portato molte persone ad assumerla senza una reale indicazione.
In Ayurveda, però, non esistono rimedi universali. Anche una pianta così potente può non essere adatta in certi contesti. Ad esempio:
- nei soggetti con forte predominanza Kapha, può essere troppo pesante
- in caso di intolleranze digestive o ipotiroidismo, va valutata con attenzione
- non è consigliata durante la gravidanza o in caso di uso di psicofarmaci (senza supervisione medica)
È importante che sia inserita all’interno di un percorso coerente, valutando sempre la costituzione individuale (prakriti) e il momento della vita.
Come può accompagnare un trattamento ayurvedico
A volte consiglio l’uso di Ashwagandha come supporto interno nei percorsi in cui utilizzo trattamenti come:
- Shirodhara, per riequilibrare la mente e migliorare il sonno
- Sarvabhyanga, nei casi di forte affaticamento fisico
- Udvartana, quando si lavora su stanchezza legata a stagnazione energetica
In questi casi, l’Ashwagandha può sostenere il corpo tra una seduta e l’altra, aiutando a stabilizzare i benefici del trattamento.
Balaswagandhadi
Balashwagandhadi è il Tailam, olio ayurvedico da massaggio, che contiene Ashwagandha che quindi può essere assunto tramite il corpo fisico attraverso un trattamento.
Un rimedio moderno con radici antiche
L’Ashwagandha è diventata di moda, ed è facile trovarla anche online. Ma io preferisco trattarla come si fa con ogni pianta ayurvedica: con conoscenza, prudenza e rispetto.
Non è la “pianta miracolosa del momento”. È uno strumento potente, che può accompagnare percorsi di riequilibrio profondo se usata nel modo giusto.